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Il presente Articolo del Prof. Salvo Sequenzia è stato pubblicato da Siracusa Press (che ringraziamo) nella rubrica Terza Pagina, il Convivio a cura del Prof. Mario Blancato, (che ringraziamo).

il 2 Luglio 2021 / ConvivioCulturaSiracusaTerza Pagina

Convivio a cura di Mario Blancato

Genesi e storia di un luogo, passioni e ragioni di un progetto

I musei sono oggi impegnati nel difficile compito di ripensare il loro ruolo e di affrontare le sfide legate ai mutati processi di fruizione e di conoscenza delle espressioni visuali e materiali che le civiltà hanno concepito e realizzato nel corso dei secoli e che sono accolte in collezioni permanenti o temporanee per potere essere ammirate e studiate.
La museografia contemporanea ha accettato questa sfida aprendosi a recepire la domanda proveniente dai territori in ordine alla realizzazione di programmi collaborativi e co-creativi che vedono interagire fra loro attori plurimi come le pubbliche amministrazioni, le scuole, il mondo finanziario e imprenditoriale, le organizzazioni no profit. Tutto ciò rappresenta un segno di come sia cambiata la mission attuale di un museo, sempre più orientata all’«accessibilità totale» (Mottola Molfino 1992; Frazzetto 1994), alle contaminazioni e al dialogo con il territorio.
Restringendo il campo di indagine ai musei demoetnoantropologici dell’area sud orientale della Sicilia, appare utile in questa sede gettare uno sguardo su alcune realtà museali che risultano emblematiche per indagare la ‘transizione’ dal museo considerato come Wunderkammer, o «scrigno delle meraviglie», alla odierna dimensione museale di network museum, realtà che si configura come «rizoma» (Deleuze 1977; Bazzicheli 2006), spazio plastico, permeabile, nel quale la mission del museo viene gradualmente erosa per essere ripensata.
È il caso del Museo etnografico ‘Nunzio Bruno’ di Floridia, intitolato al suo ideatore e fondatore, il Maestro Nunzio Bruno, singolare ed eclettica figura di ricercatore – fu fotografo, scultore, pittore, miniaturista, etnografo, antropologo – che, a cavallo fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, si prende carico della pesante eredità degli studi condotti dall’etnografo Antonino Uccello avviando una appassionata ricerca e conservazione dei manufatti afferenti alla civiltà agro-pastorale del territorio ibleo.

Oggi, all’interno delle dinamiche di trasformazione che definiscono e caratterizzano la fisionomia e l’attività dei musei, si è significativamente affermata l’idea di un museo come «agente sociale», «zona di contatto», «terzo spazio» (Babbha 1990; Clifford 1997; Sandell 1998; Karp et al. 2006; Bodo 2008; Schorch 2013), politicamente e socialmente partecipe alla vita quotidiana della comunità di riferimento. Tale concezione, che ha le sue fondamenta nella nuova idea di museo sviluppata nell’ambito della Nouvelle Muséologie, corrente sviluppatasi in Francia negli anni Sessanta e, successivamente, a partire dai primi anni Novanta, influenzata dai Cultural and museum studies di espressione anglosassone, ha costituito, inconsapevolmente rielaborata in modo autonomo ed originale, l’assunto teorico sul quale il Maestro Nunzio Bruno ha improntato la sua concezione di museo.
Parallelamente alla rotta segnata da Antonino Uccello con l’apertura a Palazzolo Acreide, nel settembre 1971, della Casa Museo, luogo in cui lo studioso e poeta raccolse e catalogò una documentazione fondamentale per la conoscenza della cultura popolare del territorio ibleo, nella seconda metà degli anni Sessanta Nunzio Bruno concepisce l’idea di raccogliere e di conservare oggetti, attrezzi e utensili provenienti dalle campagne dell’entroterra siracusano ed espressione della vita quotidiana dell’antica cultura agro-pastorale iblea: un mondo avviato inesorabilmente alla sua fine con l’avvento della società industriale e tecnologica.
Gli ‘incunaboli’ del nucleo originario della collezione vengono raccolti da Bruno in una vecchia casa di via IV Novembre a Floridia. Successivamente, la collezione, che nel frattempo andava arricchendosi, veniva trasferita nella villa di contrada Fegotto, un lembo di terreno situato nella campagna a cavaliere tra Floridia e Canicattini Bagni.
Qui il Maestro Bruno realizzerà la Villa Museo.
Il luogo, negli anni Ottanta, diventerà non soltanto meta di viaggiatori-visitatori provenienti da ogni parte della Sicilia, d’Italia e del mondo, ma anche cenacolo di studiosi di tradizioni popolari, di intellettuali, di artisti e di uomini di cultura: da Rosa Balistreri ad Antonio Buttitta, da Vincenzo Consolo a Chiara Palazzolo, solo per citarne alcuni. Nunzio Bruno è stato un precursore, in quanto ha anticipato i tempi sperimentando forme di fruizione insolita ed ‘alternativa’ per quegli anni, quali, ad esempio, il turismo culturale, il turismo destagionalizzato, il turismo eno-gastronomico ed il turismo esperienziale.
L’importanza e, se vogliamo, anche la bellezza dell’opera di Nunzio Bruno chi scrive le ha comprese molto avanti negli anni, pur avendo conosciuto e frequentato il Maestro sin da giovane. E le ha comprese leggendo, nel 2007, Terra Matta di Vincenzo Rabito, il contadino semianalfabeta di Chiaramonte Gulfi che alla scrittura ha affidato il racconto della sua vita: «Se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare». L’eccezionalità dell’opera del Maestro Nunzio Bruno consiste, appunto, nell’avere ‘raccontato’ – attraverso la fotografia, la pittura, la scultura, la miniatura e la parola – l’‘avventura’ della civiltà contadina degli Iblei, che egli ha studiato per tutta la vita con ‘sguardo erodoteo’ (Miletti 2008;) calandosi, cioè, nella mentalità del contadino, dell’artigiano, di quel popolo semplice e ‘senza storia’ al quale il Nostro ha saputo dare dignità di memoria.
Nunzio Bruno, a differenza degli etnografi attivi negli anni Settanta, non si è limitato a cercare, raccogliere, catalogare e studiare gli oggetti della cultura popolare conservandoli in un museo. Si è spinto oltre: ha fatto ‘parlare’ quegli stessi oggetti raccontando la loro storia e inserendoli in una narrazione più ampia riguardante il vissuto e i comportamenti della cultura dei contadini dell’altopiano degli Iblei, superando così un arduo scoglio teorico e metodologico. Bruno, infatti, comprende che non bisogna volgersi indietro a guardare alla tradizione con ‘occhi da epigoni’ considerandola come un mero oggetto lontano nel tempo da archiviare e catalogare, ma bisogna volgersi e prestare attenzione alla ‘memoria culturale’ cui l’oggetto rinvia: una memoria ‘presente’ nei luoghi, nei contesti, nei comportamenti, nei riti e nelle espressioni molteplici che ‘significano’ la civiltà cui quella ‘memoria’ appartiene e alla quale l’oggetto è legato. Il lavoro dell’etnografo è, dunque, per Bruno, un processo ‘politico’ di inesauribile interpretazione della tradizione.
Un Premio ‘Nunzio Bruno’ per l’arte popolare siciliana, diviso in tre sezioni ed istituito per la prima volta il 4 luglio 2010, ricorda oggi l’opera e la lezione del Maestro attraverso il riconoscimento del valore delle eccellenze e dei talenti della Sicilia.

Il Museo etnografico ‘Nunzio Bruno’, che ha sede, dal 2001, in due edifici storici (la ex caserma dei Carabinieri e l’attiguo ex carcere mandamentale) di piazza Umberto I a Floridia, porta avanti questa preziosa eredità di conoscenza e di metodo svolgendo una costante e puntuale attività di studio e di ricerca che ha dato, quale esito significativo, la nascita di una importante istituzione divenuta nel corso del tempo una ‘cabina di regia’ strategica di elaborazione e di promozione culturale nell’ambito del distretto sud-orientale dell’isola.
A guidare nella qualità di direttrice questo formidabile «opificio di sapienza» è oggi Cetty Bruno, figlia del fondatore, una delle donne manager oggi più lungimiranti ed attive nel settore dei beni culturali in Sicilia.
Il 22 maggio 2004 il museo apre alla pubblica fruizione la sua collezione, che nel 2015 la Regione Siciliana, con un decreto assessoriale, riconoscerà di rilevante interesse etnoantropologico per la singolarità e la peculiarità di alcuni manufatti.
La collezione documenta la vita quotidiana vissuta in umili case terrane e nei luoghi della produzione materiale da braccianti, contadini e artigiani dell’altipiano Ibleo. Gli oggetti sono esposti in sei sale tematiche che ricostruiscono la lavorazione del grano, l’allevamento del bestiame, la pastorizia, la panificazione; il mondo artigianale del calzolaio, dell’apicoltore, dello stagnino, del bottaio, dell’arrotino, del cestaio e del tessitore, del sarto e della ricamatrice. Una pregevole raccolta di ceramiche d’uso popolare, di antichi giocattoli, di reperti litici e di attrezzi e di utensili del frantoio e del palmento arricchisce un contesto espositivo essenziale, sobrio ed elegante allestito secondo gli standard dettati dalla museologia contemporanea.

Fiore all’occhiello del museo è il ciclo produttivo integrale della «Bottega del carradore» – l’antica ‘putia do mastru fa carretta’ – che raccoglie gli arnesi utilizzati per la costruzione del carretto siciliano. La Soprintendenza ai Beni Culturali di Siracusa ha riconosciuto la «Bottega del carradore» del museo Bruno come l’unica esistente conservatasi integralmente in tutta la Sicilia.
Parallelamente all’attività di ricerca e di indagine scientifica e alla costante attenzione rivolta al contesto territoriale per un coinvolgimento attivo della comunità nelle iniziative d’istituto, soprattutto in seno alle realtà educative e formative, grazie all’esperienza maturata in decenni di impegno nel mondo dell’associazionismo e del no profit, Cetty Bruno, avvalendosi di strutture complementari all’istituzione museale quale il Centro studi di ricerche popolari Xiridia, è riuscita a trasformare il museo in un laboratorio di sperimentazione di nuove pratiche finalizzate alla valorizzazione della dimensione dell’inclusività.
Ne è scaturita una fiorente attività editoriale, con la pubblicazione di opere che spaziano dalla demoetnoantropologia ai visual studies, dalla storia e alla cultura del territorio, con una particolare predilezione per i lavori di autori siciliani.
Insieme alla produzione editoriale, il Museo svolge una importante attività formativa rivolta alle scuole e alla comunità. Le scuole rappresentano un interlocutore privilegiato del Museo, che ad esse ha dedicato particolare attenzione definendo progetti riguardanti la realizzazione di percorsi di educazione sensoriale, laboratori didattici innovativi e progetti di alternanza scuola-lavoro. L’esperienza laboratoriale si è riverberata in seno alla comunità con la creazione della prima Scuola di antichi mestieri, dedicata all’apprendimento di tecniche e pratiche riferite ai mestieri della tradizione locale, e di Mani giovani per antichi mestieri, laboratorio destinato alle nuove generazioni. La riscoperta degli antichi mestieri ha naturaliter stimolato il Museo alla realizzazione di un Tour turistico-culturale dei beni artistici e architettonici presenti a Floridia e in alcuni comuni che insistono nella Valle dell’Anapo definendo suggestivi itinerari alla scoperta del tardo Barocco, del Liberty e dell’etnos nostrani che hanno potenziato l’offerta turistica del luogo. Il Tour, affidato ad esperti, ha riscontrato l’interesse di scuole, associazioni, importanti istituzioni culturali e gruppi di turisti. Tali itinerari rappresentano il frutto di ricerche compiute in seno al museo in seminari e simposi di rilievo regionale e nazionale come Pietra viva e Terra Madre.
Sul versante della promozione culturale sono innumerevoli le esposizioni, le mostre, le rassegne letterarie, i concerti, i recital, gli stage e le performance che il Museo annualmente produce ed organizza con il concorso di enti pubblici, di scuole, accademie e prestigiose realtà culturali.
La istituzione, nel novembre del 2016, del Sistema Rete Museale Iblei, prima rete museale in provincia di Siracusa presieduta dal naturalista Paolino Uccello e diretta dalla stessa Bruno, rappresenta il ‘primo stadio’ dell‘esplosione’ della forma-museo tradizionale nel territorio attraverso il collegamento e la sinergia tra i musei etnografici attivi nel comprensorio, articolato in siti tematici: il ‘Museo del tessuto, dell’emigrazione e della medicina popolare’ di Canicattini Bagni; il ‘Museo etnografico N. Bruno’ di Floridia; il ‘Museo dell’Opera dei pupi’, dell’‘Esposizione Permanente del carretto Rio’, della ‘Casa Museo dell’apicoltura tradizionale’ e dell’‘Antiquarium del medioevo’ di Sortino. Altri musei che aderiscono alla Rete sono: il ‘Parco dell’anima’ di Noto, il ‘Museo visivo dell’altopiano siracusano’ di Cassaro, l’‘Esposizione antropologica Coll. F. Vacirca’ di Buccheri, la ‘Casa della memoria’ di Ferla ed il ‘Centro esp. delle tradizioni nobiliari’ di Palazzolo Acreide.
Il motore di questa importante azione strategica compiuta sul territorio è, senza ombra di dubbio, rappresentato da valenti ricercatori come Paolino Uccello, Mario Lonero, Gioacchino Bruno, Tanino Golino, Francesco Vacirca, i quali, coadiuvati da una nutrita schiera di altri illustri studiosi ed esperti, da decenni sono impegnati nella conoscenza e nella valorizzazione dell’immenso e prezioso serbatoio di beni culturali e paesaggistici di questo estremo lembo dell’isola.
Cetty Bruno, anima organizzativa del Sistema, ispirandosi ai precetti paterni ha sempre considerato tale realtà come il nucleo embrionale di un’idea più vasta e decisiva per il futuro della Valle dell’Anapo e delle sue comunità: la realizzazione di un’eco-museo.

Anni di impegno, di sacrifici e di passione vengono oggi premiati con la realizzazione di questo sogno. L’eco-museo ibleo è una realtà che prende avvio in questo frangente grazie agli sforzi compiuti da istituzioni pubbliche e da realtà associative consorziate che hanno fortemente creduto nel progetto e che vede Cetty Bruno in prima fila, convinta che – come ha indicato Amitav Gosh, uno dei più influenti antropologi viventi – «nell’era dell’Antropocene è diventato impossibile tenere in piedi la finzione di una netta separazione tra ciò che è naturale e ciò che è culturale: le due cose oggi appaiono indissolubilmente intrecciate».
Gli eco-musei, infatti, destrutturano lo schema classico delle tre principali forme caratterizzanti il museo tradizionale – ovvero edificio-collezione-pubblico – disseminandoli nei tre ambiti territoriali ‘territorio-patrimonio-comunità’.
Nell’idea di eco-museo l’elemento essenziale è il legame con il territorio, la messa a sistema sia del paesaggio storico o naturale sia dell’insieme delle attività sociali ed economiche della comunità di abitanti, che non sminuisce, ma – al contrario – implementa, la base strutturale di museo locale.
L’ecomuseo è uno dei frutti di quell’utopia nutrita, oltre mezzo secolo fa, nel millennio e nella civiltà che hanno preceduto quella in cui viviamo, da personaggi come Nunzio Bruno. Oggi, quella stessa utopia sposa la progettualità incarnata e agita da Cetty Bruno e dai suoi collaboratori impegnati nel portare avanti le iniziative del Museo etnografico, della Rete e dell’eco museo ibleo in piena sintonia con i progetti di partecipatory museum – il ‘museo partecipato’ – raccomandati dalla museologia contemporanea per sostenere le sfide del XXI secolo.
«Le radici – ha scritto il filosofo e poeta Edouard Glissant – non devono sprofondarsi nel buio atavico delle origini, alla ricerca di una pretesa purezza, ma si devono allargare in superficie, come rami di una pianta, ad incontrare altre radici e a stringerle come mani».

Salvo Sequenzia